Ribera
11 Gennaio 2024Bivona
11 Gennaio 2024Ai piedi del monte Castello, affiancata dal Gogàla e dal Monte Pellegrino, giace Caltabellotta, la cui antichità è testimoniata dalle necropoli sicane che accolgono i visitatori provenienti da Sciacca.
Nel 1338 divenne la capitale di una nuova contea, creata da Pietro II per ricompensare Raimondo Peralta.
Figlio di Filippo di Saluzzo, Raimondo assunse il cognome della madre e si distinse nella campagna di Sardegna per le sue capacità militari e politiche. Queste doti spinsero Federico III a chiedergli di entrare al suo servizio. Divenne così un valido sostegno per lui e per il figlio Pietro, rimanendo tuttavia anche punto di riferimento per i sovrani aragonesi. A Raimondo vennero affidati importanti uffici e nel 1332 Federico III gli concesse in moglie la figlia illegittima Isabella. E probabilmente anche per questo motivo, Pietro II creò la contea di Caltabellotta, formata dai feudi di Caltabellotta, Calatubo, Borgetto e Castellammare del Golfo. Caltabellotta costituì il fulcro della signoria sotto il primo conte e il figlio Guglielmo I. Se da un punto di vista militare occupava una posizione strategica, il centro montano mal si confaceva a una piccola corte raffinata. Con il terzo conte, la sede del potere venne trasferita nella vicina Sciacca su cui Guglielmone, figlio di Guglielmo I, a partire dagli anni Cinquanta del Trecento esercitò il dominio, fino a giungere a creare una zecca per battere moneta. Alla morte di Nicolò Peralta, figlio di Guglielmone, Martino I riprese il controllo del centro demaniale e dei suoi castelli. Così con Margherita, ultima erede sposata ad Artale Luna, Caltabellotta riassunse il suo ruolo centrale, anche se si registrò una preferenza dei conti a soggiornare a Bivona, pervenuta alla famiglia verso fine del Trecento.
I registri notarili consentono di avere un’idea di come appariva il centro montano verso la fine del medioevo. Caltabellotta presentava un tessuto urbano molto fitto, condizionato da un’orografia segnata da guglie di roccia e dirupi, la cui estensione sia ad oriente che ad occidente ha subito nei secoli pochi ampliamenti. La cinta muraria si sviluppava per breve tratto, essendo il centro naturalmente fortificato.
Cuore di Caltabellotta era la platea pubblica, che non era molto ampia e degradava nella sottostante platea inferiore. Dalla platea si dipartivano i numerosi quartieri che erano piccoli agglomerati di case che traevano il nome dagli edifici di maggiore rilievo più vicini.
In questo scenario i Luna-Peralta si insediarono, non nel castello, adibito a prigione, ma in un palazzo signorile nel centro abitato, individuato nell’odierno palazzo Bona di Scunda.
Oltre al palazzo comitale, che ospitava anche una piccola corte, i primi Luna lasciarono il loro segno anche a Vigna della Corte, probabilmente il luogo in cui venne firmata la pace tra aragonesi e angioini nel 1302, usata dalla famiglia come masseria e luogo di allevamento di cavalli (Fig. 1).
Con Pietro Luna, figlio di Sigismondo, la famiglia spostò la sua residenza a Bivona. Tuttavia non abbandonò del tutto questo territorio, dato che tra il 1569 e il 1571 Pietro fece ristrutturare, accanto alla torre di Misilcassim, un più ampio castello che chiamò Poggio Diana, probabilmente in ricordo della nonna Diana Moncada, e ingrandì il palazzo comitale. Caltabellotta ritornò a rivedere i fasti di una corte con il figlio di Pietro, Giovanni, che preferì soggiornare nelle terre degli avi, tentativo che rappresentò il canto del cigno della famiglia Luna prima di confluire nei Moncada.
Tratto da: A. Ciaccio, A. Scandagliato, La contea di Caltabellotta dal governo dei Luna-Peralta a quello dei Moncada, in G. Giugno, Città moncadiane. Architettura, potere, territorio. Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2023, pp. 209-214.