Belpasso, Nicolosi e Motta di Santa Anastasia
11 Gennaio 2024Centuripe
11 Gennaio 2024Nel 1456, Paternò fu acquisita per 24000 fiorini da Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Adernò assieme a ‘Malpasso’, per essere poi trasmessa al figlio Giovanni Tommaso. Più avanti, Antonio Moncada governò sulla cittadina dal 1511 fino alla sua morte nel 1549.
Nel 1535, furono avviati diversi procedimenti giudiziari contro il Moncada per gli abusi e violenze da lui commessi contro il vassallaggio e per questo motivo fu inviata a Carlo V una supplica di denuncia degli usi angarici pretesi dal conte, accompagnata da una richiesta di reintegrazione al regio demanio di Paternò fondata sulla pretesa nullità dell’acquisto del centro da parte dei Moncada. La questione si risolse nel 1538 con un accordo tra i paternesi e il Moncada che condusse alla soppressione di alcuni gravami feudali.
Di poco successivi a questi eventi è la ratifica di un imponente corpus legislativo. I testi rinvenuti, in realtà, sono due: il primo Privileggi di Paternò costituiva un regolamento urbanistico volto a dirimere controversie tra privati ed il secondo Consuetudines terre Paternionis riguardava più gli aspetti patrimoniali, le modalità di creazione degli officiali e le questioni di diritto matrimoniale. Entrambi sono datati agosto 1556.
Oltre ai testi sopraddetti, la famiglia Moncada è legata a Paternò dal titolo di principi di Paternò. Il privilegio con cui Francesco I Moncada fu insignito di tale titolo fu motivato dalle sue imprese nella lotta contro i turchi. Questo, dato a Madrid il 24 marzo 1566 ed esecutoriato nel Regno il 4 giugno 1567, fu anche uno dei motivi per alcune donazioni stabilite dal Moncada a Paternò, come la cessione alla chiesa e convento di San Francesco di un giardino con alberi in località detta Vagno e del dono all’hospedale dei redditi percepiti dall’affitto delle terre poste nella contrada di Sant’Ippolito. Il Moncada fu anche committente del convento dei Cappuccini. Egli nel suo testamento assegnò al figlio ed erede Cesare la facoltà di stabilire il luogo della sepoltura tra la chiesa della Madonna dell’Itria a Paternò e la cappella del palazzo che in quel tempo la famiglia voleva erigere a Caltanissetta.
Per volere di Cesare, capitano e vicario viceregio a Siracusa, fu costruito un palazzo a Paternò, composto da più corpi di fabbrica e da una torre nella contrada di la chiazza, che comportò l’abbandono del dongione medievale (Figg. 1-2). Egli fu anche promotore della costruzione della chiesa della Compagnia dei Bianchi. Dopo la sua morte nel 1571, la moglie Aloisia volle spostare la residenza della famiglia a Caltanissetta e acquistò nel 1584 palazzo Ajutamicristo a Palermo. Ella assunse il ruolo di tutrice del figlio Francesco II, nuovo principe di Paternò, mentre il governo della città etnea fu affidato al cognato Fabrizio, che sposò nel 1573 Sofonisba Anguissola stabilendosi a Paternò.
La permanenza di Sofonisba a Paternò non durò a lungo. Infatti, dopo la morte del marito Fabrizio nel 1578 fece ritorno a Cremona. Ma prima di abbandonare la cittadina paternese decise di far dono ai padri Conventuali di una tavola raffigurante la Madonna dell’Itria, oggi conservata nella chiesa paternese della Santissima Annunziata. La pala potrebbe essere stata in origine ideata per la citata cappella dell’Itria citata nel testamento di Francesco I.
Tratto da G. Giugno, Committenza moncadiana a Paternò dal 1566 al 1606, in G. Giugno (a cura di), Città Moncadiane. Architettura Potere e Territorio, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2023, pp. 119-128.